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I fatti dimostrano il contrario! La produzione enologica attuale di tutto il mondo attesta la presenza di donne attivamente impegnate in aziende produttive di proprietà e non solo.

 Se a qualcuno venisse in mente di parlare di emancipazione, lo Champagne con la sua storia ci verrebbe subito in aiuto. Ci racconta, non solo di donne che hanno proseguito l’attività di famiglia, ma di tenaci “fammes de vin” capaci di dare una svolta decisiva a questo iconico vino, cambiando il suo destino per sempre a partire dal lontano 1808

 Forse, agli inizi dell’Ottocento in una società maschilista, si poteva parlare di donne “coraggiose”, ma per le nostre produttrici contemporanee, parliamo semplicemente di donne che vivono il loro Tempo.

Attualmente il 25% delle imprese del vino hanno una donna che ricopre un ruolo di rilievo nell’azienda e questa percentuale è certamente destinato a crescere. Già quattro delle più affermate Maison affidano il delicato ruolo di Chef De Cave alla professionalità di Julie Cavil per Krug, Sandrine Logette-Jardin per Duval Leroy, Caroline Latrive per Ayala e Nathalie Laplaige per Joseph Perrier.

Nel 1988 durante il Vinitaly, una manciata di donne guidate da Elisabetta Tognana (giovane produttrice veneta) tutte appartenenti al mondo del vino, credono fortemente nella necessità di unire le loro forze per sviluppare un progetto di collaborazione reciproca e di sano confronto. Nasce così l’Associazione Nazionale Le Donne Del Vino. Partita da una ventina di donne fondatrici, consta oggi di più di 1.000 socie. Si basa su un’idea estremamente innovatrice: inglobare in maniera attiva realtà differenti ma complementari al mondo del vino. Una visione trasversale che tiene conto di tutto ciò che ruota intorno al vino e sfrutta la forza delle diverse conoscenze professionali di ciascuna socia, per migliorare il settore sotto ogni aspetto.  Basti pensare che a fianco delle produttrici, si schierano donne sommelier, enologhe, ristoratrici, giornaliste, blogger e, a dimostrazione di una condivisa lungimiranza, responsabili marketing e comunicazione di aziende vitivinicole.   

Comunità dello stesso genere sono sorte in tutto il mondo convinte della maggior forza derivante dallo stare insieme rispetto ad obiettivi comuni. Obiettivi che saranno al centro del secondo forum mondiale a Milano in occasione della fiera Simei dal 15 al 18 Novembre 2022.

Di ispirazione per le donne che hanno intrapreso la carriera nella produzione del vino, sono sicuramente state due figure femminili dello Champagne, Madame Clicquot e Madame Pommery: due donne accomunate dalla vedovanza che le ha spinte entrambe a trasformare il dolore in coraggio, dando origine ad una forza capace di lasciare in eredità imprese grandiose.

Abbandonata dal marito Suicida, nel 1808 a 27 anni Barbe Nicole Ponsardin   già vedova Clicquot, prese le redini dell’azienda di famiglia.

Nel 1860 a distanza di 52 anni, Louise Pommery seguì le orme della Grande Dame e a 39 anni assunse la direzione della Maison Pommery.

Straordinariamente trasgressive, per la Francia sessista e maschilista dell’Ottocento, perseguirono il loro intuito e la loro attitudine al rischio che si rivelarono entrambe, qualità vincenti e di grande patrimonio per la cultura enologica moderna.

Se oggi si beve Champagne Brut lo si deve a Madame Pommery, che con la sua lungimiranza si lasciò trasportare dal gusto dry britannico che ispirò il suo vino secco migliore, in modo da non doverne mascherare i difetti con lo zucchero. Questa novità segnò un cambio epocale nello stile delle bollicine francesi considerate allora vini da dessert. Così nel 1874 la Pommery presentò il primo brut millesimato della storia. Un vino rivoluzionario che si distinse dagli champagne classici dell’epoca per il gusto più tagliente e fresco. Questa novità segnò un cambio epocale nello stile delle bollicine francesi.

Ma a Madame Pommery si deve anche un’altra innovazione. Fu il primo dirigente aziendale in Francia a creare i fondi pensione e sanitari per i suoi dipendenti.

E come non omaggiare con un tributo una donna di così grande intuizione?

Nasce così, nel 1979, la Cuvèe Louise: esaltazione dello stile Pommery fatto di finezza, freschezza ed elegante complessità.

Per questa cuvèe de prestige lo chef de cave Alain de Polignac, seleziona chardonnay e pinot noir in vigneti coltivati nei tre villaggi più vocati di tutta la Champagne: Ay, Avize, Cramant.

La Cuvèe Louise viene elaborata solo nelle grandi annate ed è sempre stata dosata intorno ai 5gr/l ma nel 2004 la Maison fa uscire in parallelo la versione “classica” e la “nature”. In realtà la prova di non dosare era stata già fatta nel vintage 1990 ma non ne venne dichiarato ufficialmente.

Nel tempo è stato cambiato anche il rapporto nell’uvaggio e la permanenza sui lieviti. Attualmente si attesta a più di 10 anni ed è diventato uno degli champagne (fra quelli di produzione regolare) con la più alta sosta in cantina. Il rilascio del Vintage 2005 sarebbe dovuto avvenire nel 2020, ma la situazione globale ha ritardato l’uscita di due anni e la permanenza sui lieviti è stata prolungata.

Insomma, non esiste una regola per questa punta di diamante della Maison Pommery, ma una cosa è certa: l’azienda punta comunque a permanenze sempre più lunghe sui lieviti.

La vendemmia 2005, con clima fresco, asciutto e soleggiato, regala un vino che non bisogna aver fretta di bere proprio perché è caratterizzato dalla longevità. Bisogna sapere aspettare perché proprio come una “Gran Signora”, ha bisogno di tempo per dare piena soddisfazione. James Suckling gli dà 97/100.

Parlando ancora di innovazione però, non si possono tralasciare tutte le pratiche messe a punto da M.me Clicquot. A lei si deve la limpidezza dello Champagne e la comparsa della versione rosè ottenuta dall’assemblaggio di vino rosso allo spumante e non all’aggiunta di bacche di sambuco come allora si usava.

Insieme al suo chef de cave creò una routin da applicare al vino dopo l’imbottigliamento. Inventò la tecnica del degorgement procedendo prima di tutto con il deposito dei lieviti sul collo della bottiglia rovesciata, poi con la rimozione del tappo provvisorio e dei lieviti. Quindi con il rabbocco della bottiglia con la liqueur e finalmente con la tappatura definitiva. Ancora oggi, dal punto di vista concettuale, si procede allo stesso modo, salvo per la tecnologia conquistata nel tempo.     

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