
Nel 2018 il Syndacat General des Vignerons della Champagne aveva fatto sapere tramite il loro portavoce di voler eliminare l’uso del glifosato in vigna entro il 2025.
Il glifosato che è un diserbante sistemico non selettivo (erbicida) inventato negli anni Cinquanta del secolo scorso è da molti decenni sul banco degli imputati per l’uso massiccio che se ne fa in agricoltura e quindi anche in viticoltura.
Negli anni 70 e 80 era usato massicciamente in vigna e quindi anche in Champagne per combattere le erbe infestanti sotto filare. A poco a poco però ha cominciato a serpeggiare la notizia di una sua possibile tossicità per l’uomo e alcuni studi hanno evidenziato l’aumento di casi di cancro negli abitati limitrofi a zone agricole.
Il marchio più conosciuto è il Roundup di proprietà della Bayer che a sua volta lo ha acquistato dalla statunitense Monsanto per la modica cifra di sessantatré milioni di dollari. Per questo motivo, la tanto proclamata messa al bando da parte della UE è stata prorogata per altri dieci anni.
Tornando però alla zona dello Champagne, analizzando i dati, è facile capire perché i buoni propositi siano stati messi da parte. L’88% della superfice vitata della regione è di proprietà di agricoltori, spesso non vinificatori, che vivono vendendo l’uva ai produttori. L’uva viene pagata al Kg e quindi facile capire che più producono e meno spendono per produrre e più guadagnano. Sostituendo il lavoro manuale di diserbo con irrorazione di glifosato, ottengono due risultati. Risparmiano tempo abbassando i costi di produzione e combattono il proliferare di erbe infestanti.
Molte grandi Maison, hanno già fatto passi in avanti, acquistando solo da produttori con certificazione biologica e certificando i vigneti di proprietà ma evidentemente non è sufficiente. I produttori di vino necessitano di Uva per la produzione di Champagne ma con le vigne di loro proprietà soddisfano solo una piccola parte del loro fabbisogno. Quindi sono obbligate a ricorrere all’acquisto di uve da fornitori terzi che, vista la necessità, possono fare “la voce grossa” con le maison e le cooperative della zona.
Solo le certificazioni Biologiche e Biodinamiche vietano tassativamente l’uso di prodotti sistemici mentre le certificazioni HVE, molto in voga tra i produttori, pur vietandole, non hanno sanzioni per l’utilizzo sporadico in caso di necessità. Mentre un produttore Biologico o Biodinamico trovato ad usare prodotti non consentiti perde la certificazione per cui ha lavorato duramente per anni, la certificazione HVE non prevede multe o altre sanzioni.
Il problema è che in alcune zone della Champagne, il paesaggio è lunare. Non esiste più il verde dell’erba sotto filare ma è tutto marrone e privo di vita. Tutto questo, ha causato danni alle falde acquifere, danni enormi alla biodiversità e la quasi totale sparizione delle api.
Fortunatamente moltissimi produttori virtuosi da anni praticano una agricoltura rispettosa dell’ambiente ed i risultati anche in termini di qualità è evidente. Basti pensare che Cristal di Roederer deriva solo da vigne biodinamiche, così come Blanc de Millenaires di Heidsieck o ancora Clos Lanson di Lanson. Purtroppo, però, finchè le Maison e le Cooperative dovranno acquistare uve da vigne non sotto il loro controllo, questo problema non sarà risolto.
Si stanno svolgendo molti studi sugli effetti nocivi del glifosato e se solo uno di questi dovesse provare, oltre ogni ragionevole dubbio, la correlazione tra esposizione al glifosato e cancro, per la Regione e la denominazione sarebbe una pessima pubblicità. Ovviamente non solo la Champagne è in questa situazione ma avendo uno dei prezzi al Kg più alti al mondo per le uve, è naturale che gli agricoltori non vogliano rinunciare alla loro fonte di ricchezza.
Per spezzare una lancia a favore delle Maison, dobbiamo segnalare che sempre più spesso pagano maggiormente l’uva se certificata Bio ma evidentemente questo, da solo, non basta.
Auspichiamo che la comunità europea prenda una posizione chiara sull’uso del glifosato in agricoltura. Se così non dovesse essere, ci auguriamo che i consorzi di tutela, gli organi di controllo e tutte le associazioni di produttori, diano il buon esempio limitando quanto più possibile l’utilizzo di prodotti di sintesi.